Esporsi, intervenire, darsi da fare, non mollare
di Paolo Morawski
Immagine di copertina: L’Universo a portata di sguardo, di Pablo Carlos Budassi.
Le immagini che seguono sono tratte dalla grande mappa del fondo dell’Oceano Atlantico basata sulle ricerche di Bruce Heezen e Marie Tharp, dipinta da Heinrich Berann e pubblicata nel giugno 1968 dal “National Geographic Magazine”.
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Leggere che il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump definisce il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelens’kyj un “dittatore mai eletto” che “rifiuta di indire elezioni”, privo di consenso interno, colpevole “di aver iniziato la guerra con Mosca” e di aver trascinato, lui Zelens’kyj, gli USA in guerra, di non aver voluto evitare la guerra tre anni fa sottomettendosi alla Russia, quindi di essere colpevole dei milioni di ucraini morti “inutilmente”, colpevole di voler “mantenere in funzione il treno della cuccagna” degli aiuti USA, colpevole di … e ancora di… – è come subire una forte scossa di terremoto, di quelle che ti fanno vacillare o cadere.
Più leggi e ascolti gli echi dal mondo più cresce l’opposizione a Trump e trumpisti, più cresce la solidarietà agli ucraini. Piena solidarietà agli ucraini che la Russia continua a bombardare e attaccare (sono almeno 150 mila le vittime militari e civili ucraine, senza contare i feriti, i 4 milioni di sfollati all’interno del Paese, i 6,8 milioni di fuggitivi dall’Ucraina, i 14,6 milioni bisognosi di assistenza umanitaria). Pieno rispetto inoltre per la verità storica. Sì, la “verità” perché il presidente USA sciorina fatti e dati inesatti, menzogneri, falsi – vedi tra altre le rettifiche dell’inglese BBC, delle americane CNN e CBC, dell’australiana ABC.
Non doveva dirlo al mondo, anche se ha ragione Zelens’kyj: Trump riprende la narrazione russa al 100%, quasi vivesse dentro la bolla di disinformazione e di menzogne russe. Ma anche dire così è una semplificazione. A Trump semplicemente non interessa “capire” questa guerra, comprendere le sacrosante ragioni dell’Ucraina e degli ucraini, confrontarsi con la realtà della Russia e dei russi, non ha alcuna empatia con gli europei dell’Est. Nell’inedito contesto di violenza proveniente dagli USA, per la partita che gioca in nome della sopravvivenza stessa dell’Ucraina indipendente, Zelens’kyj avrebbe forse fatto meglio a evitare il ping pong verbale per concentrarsi sulla mossa giusta? La sfera mediatica non contempla né il buon senso né una certa educazione.
I russi, inutile dirlo, gongolano. Insieme a tutti gli anti-ucraini di questo mondo possono ora disquisire sulle “inappropriate reazioni isteriche” di Zelens’kyj. Come se il problema fosse Zelens’kyj, l’uomo e il presidente che non è scappato da Kyïv assediata dalle truppe russe, al contrario è rimasto al suo posto. Con tutti i suoi limiti e difetti, gli errori commessi, i suoi scatti di ira e di stress, Zelens’kyj ha svolto e svolge il ruolo che gli ucraini si aspettano dalla sua funzione: essere il portavoce e il simbolo dell’Ucraina che lotta. Forte, fortissimo è il sospetto che le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti d’America siano diffuse ad arte per preparare la messa in scena della decapitazione dell’Ucraina. Se al condannato si taglia la testa, le sue grida di innocenza servono a poco. Si viene condannati a morte non per ciò che si fa ma per ciò che si è. E la folla comunque considera il condannato colpevole. Altrimenti non lo avrebbero condannato.
Prendiamone atto: è un disastro. C’è un abisso profondo tra questa dirigenza americana e questa dirigenza ucraina. Di contro Trump e Putin, americani e russi cinguettano come uccelli canterini (per ora?). Tra grandi, ovviamente, ci si intende. Interessi convergenti. Ma quali? I piani USA sull’Ucraina sono poco chiari. La sostanza pare la colonizzazione economica (minerali rari, petrolio, gas, porti, altre infrastrutture). La cessione di risorse è stata proposta dagli stessi ucraini ma è poi diventata per loro inaccettabile nell’interpretazione data al concetto di accordo dagli americani: non si parla più di investire per costruire il futuro dell’Ucraina ma di risarcimento (con cospicui interessi) per quanto gli USA hanno già dato. Quasi si trattasse di “riparazioni” di una nazione sconfitta come lo fu la Germania dopo la Prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Si finge inoltre di dimenticare che si è ipotizzata una cessione di risorse in cambio di un’effettiva messa in sicurezza dell’Ucraina. Pace = sicurezza, sicurezza = non essere più invasi, bombardati, distrutti.
La Russia vuole tutta l’Ucraina (un’Ucraina dichiarata “non esistente”, “proprietà” della storia russa). L’obiettivo della conquista di tutta l’Ucraina non è stato raggiunto nel 2022: in questo senso la Russia non ha “vinto” questa fase della guerra cominciata nel 2014. Tuttavia il possesso o comunque la sottomissione dell’intera Ucraina è e resta in cima all’agenda di Mosca. Non potendo avere tutto subito Putin si è adeguato: intende raggiungere l’obiettivo passo dopo passo, la Russia continuerà la sua avanzata mentre gli altri dormiranno o penseranno ad altro. L’esempio della Bielorussia va tenuto sempre a mente. La visione temporale russa spazia nel medio-lungo termine.
L’impressione – una brutta impressione – è che a Trump (perché alla fine negli USA decide lui) della guerra contro l’Ucraina interessa soltanto ciò che da questa guerra egli può trarre, cioè guadagnare (in Ucraina e/o altrove). Gli ucraini non firmano l’accordo sulla cessione delle loro risorse? Peggio per loro, addio, Trump avanza contro l’Ucraina. I russi offrono più degli ucraini? Trump sta con i russi. As simple as that. In più: Biden sosteneva l’Ucraina e si opponeva alla Russia? Contro “lo stupido Biden”, Trump non sostiene l’Ucraina, cerca il reciproco riconoscimento con Putin. Uomo d’affari, Trump è anche un presidente missionario: se nel luglio 2024 è scampato a un attentato è perché Dio stesso lo ha salvato per consentirgli di compiere la sua missione, quella di salvare l’America. Eppure la molla profonda che lo muove, il suo istinto, la sua logica dominante sono i soldi, il guadagno, fare affari. Un’appropriata chiave di lettura di ciò che accade – che appare così caotico, assurdo, irrazionale, emotivo, senza senso – è il Trump capitalista vorace, privo di scrupoli, abituato a vincere, a schiacciare gli altri come mosche. Fin troppo facile il paragone con pirati e gangster. Trump incarna una nuova destra americana in cui la distinzione tra politica ed economia è sempre difficile da discernere.
Altra brutta impressione: la trattativa USA-Russia non riguarda la pace in Ucraina ma, per gli USA, qualcos’altro. Prima ancora di sedersi al tavolo delle trattative Trump e i suoi hanno già concesso molto, moltissimo a Putin. Hanno rilegittimato Putin (un criminale) che esce così dall’isolamento. Hanno dichiarato che gli USA non sosterranno più l’Ucraina, anzi vogliono indietro i soldi che l’Ucraina ha ricevuto. Hanno già detto che l’Ucraina non entrerà nella NATO (si sapeva, ma non si diceva). Che la NATO e gli americani non si schiereranno in Ucraina. Che il 20% di territorio ucraino invaso dalla Russia dal 2014 è perso per l’Ucraina. Che forse un giorno tutta l’Ucraina sarà della Russia. Che forse gli eserciti USA si ritireranno dall’Europa. E via di questo passo. È bastato un attimo e gli USA stessi hanno scavato due solchi: tra Washington e Kyïv; e tra Washington e le capitali europee minando l’alleanza transatlantica. Tra Europa e USA non c’era mai stata tanta tensione. Di ora in ora si sovrappongono gesti e dichiarazioni “terribili”, alcune contraddittorie. È un diluvio impossibile da metabolizzare. Nel fracasso mediatico che ne deriva si annuncia una vera e propria virata a U da parte dell’America trumpiana. E tutto ciò a vantaggio della Russia a un livello inimmaginabile. A Mosca saranno al settimo cielo. Per il Cremlino pare delinearsi una situazione nella quale la Russia potrà intervenire non solo in Ucraina ma in tutta Europa senza incappare nelle ire degli Stati Uniti. E tutto ciò accade prima ancora di sedersi al tavolo delle trattative.
Certo, a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, le delegazioni degli USA e della Russia sono arrivate dopo varie telefonate tra Trump e Putin (sicuramente due) e forse anche altri incontri segreti tra i rappresentanti dei due paesi. Il terreno era già stato preparato. Qualcosa era già stato deciso? Jalta 2? – si chiedono vari commentatori.
A Jalta, in Crimea, nel febbraio 1945 Iosif Stalin (URSS), Franklin Delano Roosevelt (USA) e Winston Churchill (GB) presero alcune fondamentali decisioni, tra l’altro sull’assetto futuro della Germania e dell’Europa dell’Est, in particolare di Polonia, Ucraina, Bielorussia e Lituania. Le decisioni della Conferenza di Crimea (che poi comportarono spostamenti di frontiere e trasferimenti forzati di milioni di persone) vennero prese in assenza e senza il consenso dello Stato polacco, nonostante centinaia di migliaia di polacchi combattessero allora e sin dal primo momento contro i nazisti e i fascisti con gli eserciti alleati. Ma nulla poterono quei soldati e il governo polacco in esilio a Londra contro l’unilateralità delle risoluzioni. A Jalta, Roosevelt e Churchill assecondarono Stalin. Jalta fu di importanza decisiva per la configurazione dell’Europa nel dopoguerra, un’Europa poi divisa in due dalla Cortina di ferro.
Come Jalta 1 anche Jalta 2 non riguarderebbe soltanto l’Europa, ci sono di mezzo questioni, scenari ed equilibri su scala planetaria. Poiché qui viviamo non possiamo non preoccuparci anzitutto dei destini della casa europea. Evocare Jalta può non essere del tutto corretto, la storia mai si ripete. Ma paventare Jalta è utile, soprattutto se serve a darci una mossa, se il suo spettro può spingere ad agire. Polacchi e baltici hanno ragione a ricordare agli altri europei che per Putin la priorità è e resta l’Ucraina. E che in prospettiva c’è il resto dell’Europa. Il nazionalista Putin vuole ricostruire la grande Russia e pure una Russia potente in Europa come potente fu l’URSS per quasi mezzo secolo. Noi cittadini italiani/europei intendiamo assecondare questo piano russo?
Abbiamo l’obbligo innanzitutto di convincerci ed essere pienamente consapevoli che questo piano esiste ed è operativo da tempo. La Russia lo pianifica con tenacia, lo persegue in maniera ostinata, con costanza calcolata dall’inizio di questo secolo: 2004, 2008, 2014, 2022, 2025… Ora, un conto sono i legittimi interessi di un Paese (la Russia), un conto sono le sue mire e azioni imperiali, le sue violenze poliziesche e belliche. A giudicare queste ultime facciamo fatica perché dovremmo uscire dalle nostre zone di confort mentale, rimetterci in gioco, prendere sul serio il fatto che il mondo di ieri, quello nato dalle trasformazioni del 1989-1991 ma anche quello al quale ci siamo abituati dalla fine della Seconda guerra mondiale, è finito con tutte le conseguenze del caso. Faticoso esercizio oltre che noioso. E quindi: W la Russia putiniana, se ci consente di prolungare l’illusione! È una questione di certezze, di ansie e di vertigini. L’immagine di un universo finito, racchiuso in un cerchio con noi al centro è più rassicurante di un impensabile infinito di infiniti universi.
Perché gli USA, ad un tratto, vogliono distruggere il modello di democrazia liberale di cui sono stati a lungo i tedofori? Perché danno tanto spazio ai suprematisti bianchi? Perché vogliono “scaricare” di colpo l’Ucraina? Perché scavano fossati tra le due sponde dell’Atlantico, fossati che generazioni di sovietici non sono riusciti a creare. America First. MAGA-Make America Great Again. MAIA-Make America Isolated Again. Si, certo, tutto vero. Ma perché Trump e i trumpiani trattano la Russia con tanta delicatezza, con tali soavi parole? In Arabia Saudita abbiamo assistito all’esibizione di ostentati sorrisi e segni di amichevole rispetto. C’è chi spiega: è normale, così funziona la diplomazia; così si dimostra la propria potenza. Ma quello americano – si chiede una studiosa polacco-ucraina – è un problema politico, strategico o psicologico? Trump è forse grato ai russi che lo hanno “aiutato” a vincere due campagne elettorali? O forse Trump, dopo le sue telefonate e i colloqui sotto banco, è ancor più convinto di riuscire a intendersi con Putin e di far terminare la guerra? Da una parte c’è un famelico businessman; dall’altra, un ex agente del KGB esperto nel convincere, reclutare e creare reti di spie, che dopo la fine dell’URSS è asceso al potere nella nuova Russia insieme a un ristretto gruppo di suoi ex colleghi. A Riyad e dopo Riyad il successo della Russia è stato pieno.
Come nel cartone animato della Disney tratto da Il Libro della giungla, il serpente Kaa facilmente ipnotizza sia Mowgli sia la pantera Baghera con una suadente ninna nanna: “… puoi avere fiducia in me… solo in me… non pensare… ci son io a vegliar… soltanto io e te, tesoro”. Più o meno siamo lì. Trump è stato conquistato da Putin con una forza e una velocità ipnotica degna dei più grandi illusionisti di tutti i tempi.
Conquistato, si, fino a un certo punto. Le sanzioni contro la Russia gli USA ancora non le hanno tolte. Se Putin è un genio secondo Trump, a sua volta per i suoi seguaci ed estimatori Trump è un genio della trattativa. Per cui non contano i mezzi, bensì il risultato finale.
Forse questo mollare il peso dell’Ucraina e dell’Europa da parte americana si spiega con il fatto che la “vera” trattativa riguarda altro, non solo o non tanto l’Ucraina, non le Europe dell’Est. Trump sta scaricando tutti quelli che non lo “(ri)pagano”? Ci si chiede: cosa gli ha offerto la Russia? Il recupero dei soldi delle aziende americane congelati in Russia? Promesse di “straordinarie opportunità” di investimento e di business per le aziende americane in Russia? Per Putin e i putiniani la trattativa riguarda anzitutto la fine delle sanzioni occidentali (se la Russia ne chiede la fine con tanta insistenza in ogni occasione è perché le sanzioni fanno male, funzionano, ancorché in parte). Per Putin e i suoi c’è anche il sogno di una Jalta 2, in cui la Russia-potenza come ai tempi di Stalin decide insieme alla potenza USA (Trump) gli assetti geopolitici se non del mondo almeno dell’Europa. Si può?
Per gli USA di Trump la posta in gioco della trattativa con la Russia pare essere la possibilità per le aziende americane di business in Russia o con la Russia. La trattativa riguarda le risorse energetiche, come darebbe credere la scelta di incontrarsi a Riyad? Altri dicono: di mezzo c’è la conquista dell’Artico (estrazione di idrocarburi), c’è l’Iran (nucleare), c’è Israele (e i palestinesi…). Altri ancora oscillano tra il pensare che tutto ciò accade perché Trump agisce d’impulso e/o perchè considera l’Europa insignificante, disprezzabile, secondaria rispetto alla priorità cinese. Ma la priorità cinese non spiega la miriade di punti interrogativi che suscita la politica estera della sua Amministrazione in Europa e in Medio Oriente. Staccare la Russia dalla Cina facendo schioccare due dita è illusione?
Forse – e sarebbe altrettanto drammatico – a Trump la Russia non ha offerto ancora nulla. È Trump che telefona, che dà, offre, getta sul tavolo “gettoni di presenza” ai russi in cambio della loro partecipazione al tavolo di Riyad (come fossero ospiti di uno show televisivo). Il fatto è che il presidente degli Stati Uniti vuole a tutti costi esibire una “pace”, quale che sia. A lui importa apparire, per gli americani e sulla scena del mondo, come l’uomo che “fa”, determinato, efficace, veloce – potente. Vuole a tutti i costi poter declamare: “ho annunciato che avrei fatto la pace, eccomi qua, detto fatto”. Prima di lui c’era solo guerra, adesso i russi si siedono a un tavolo. Sedersi non significa affatto volere trattare o cercare la pace. Gli attacchi russi continuano. Ma che importa: Trump ha già ottenuto il successo che cercava. D’ora in poi, se da queste “trattative” non uscirà nulla, la colpa potrà sempre essere di qualcun altro, di Volodymyr Zelens’kyj in primis. Lui, Trump, è già entrato nella storia afferma la nuova vulgata, lui la prospettiva di pace l’ha aperta. Merita il Nobel.
Mettiamo, per un attimo, che la guerra venga effettivamente congelata sulla linea del fronte, quella che sarà in quel momento. Chi garantirà la pace-tregua? Trump dice: se ne occupino gli eserciti europei. Ma la Russia ha già detto no agli eserciti europei sul suolo ucraino. Alla fine saranno i russi a garantire se stessi. Quindi, dopo aver “bidonato” il mondo con una pace fasulla, una pace-patacca a misura dell’ego narciso e degli interessi economici di Trump, la Russia non appena si sarà ripresa ricomincerà ad avanzare. Ovviamente “per cause di forza maggiore”: in seguito a qualche provocazione, qualche attentato, qualche drammatico evento di rottura della pace da parte ucraina; perché si sa gli ucraini, oltre che “nazisti”, sono “terroristi”). La guerra non sarà affatto finita anche se ci racconteranno che pace è fatta.
Trump come Putin vuole eliminare Zelens’kyj. Trump come Putin pretende elezioni in Ucraina. Si vede che ambedue hanno i loro candidati. Elezioni in tempo di guerra, sotto bombe, missili, droni? Con migliaia di soldati al fronte? Con milioni di ucraini scappati all’estero, molti prigionieri della Russia? Sono elezioni democratiche impossibili da condurre che nessuno in Ucraina, non i cittadini e neppure l’opposizione vogliono. Eliminando Zelens’kyj non si elimineranno gli ucraini che difendono questa Ucraina, l’unica Ucraina reale che hanno. Non avendo alternative (se non essere profughi in Occidente o deportati in Russia o semplicemente uccisi) gli ucraini continueranno a lottare.
Riassumendo. Le cosiddette trattative sono tre. Il primo tavolo riguarda i rapporti USA-Ucraina: va male, rapporto deteriorato. La mediatizzazione del confronto attraverso i social fa parte integrante dei rapporti di forza sebbene complichi più di quanto non aiuti. Il secondo tavolo, quello USA-Russia, per ora è tutto latte e miele – ma aspettiamo, raccomandano gli esperti dell’Est Europa, aspettiamo, niente è dato in anticipo. Anche perché sul fianco orientale dell’UE in molti sono convinti che la situazione economica della Russia si sta deteriorando. È sì trainata dalle spese di guerra, ma la macchina bellica sta iniziando a fermarsi e i problemi strutturali nascosti stanno per affiorare. La viva preoccupazione degli analisti è che Trump decida di “dare ossigeno”, quindi di “salvare” Putin e questa Russia sull’orlo della stagnazione. Sul momento le due potenze paiono d’accordo sulla capitolazione dell’Ucraina. Se così fosse, la trattativa tra Mosca e Washington riguarderebbe i termini della capitolazione. Il terzo tavolo, quello USA-UE, merita una riflessione a parte.
Vi sono dunque tre tavoli di negoziazione che per comodità d’analisi vanno distinti. La questione ucraina li collega, ma fino a un certo punto. Ai tre tavoli Trump e i trumpiani pongono una sola e identica domanda: io Trump (incarnazione degli USA) cosa ci guadagno? Cosa me ne viene? Cosa mi offrite sul piano materiale e simbolico?
Per meglio rincorrere Trump, per meglio non perdere di vista ciò che accade in Ucraina abbiamo urgente bisogno – a tre anni dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina e a undici anni dell’occupazione russa della Crimea – di concentrarci sull’Europa. C’è un coro di capi di governo e di politici europei che si strappano le vesti e si lamentano che le trattative USA-Russia siano state avviate a Riyad sopra la testa sia degli ucraini (poverini! da compatire!) sia della stessa UE (che indignazione!). Diciamo la verità. Se l’UE non c’è, se l’UE vale poco o nulla in politica estera è perché gli Stati nazionali che la compongono da anni/decenni non consentono all’UE, alle sue istituzioni, ai suoi rappresentanti di contare di più, di rispondere alle nuove sfide del XXI secolo, di crescere, di rafforzarsi, di estenderne il perimetro d’azione. L’UE è nata per gestire la pace, non per fare la guerra, andrebbe sempre ricordato. Il nuovo Mondo di oggi necessita di mezzi nuovi e nuove competenze. Da anni/decenni una vasta ed eterogenea gamma di cittadini europei spara sull’UE, incolpando l’UE di tutti i mali, di tutte le colpe e nefandezze. Bruxelles è dipinta come l’orrido mostro: Moloch-Idra-Medusa-Orco. L’idea fa comodo: la colpa è sempre di un altro – in questo caso di una pianta costretta a vivere in un vaso bonsai.
A occupare la scena sono oggi soprattutto i nazionalisti. Gli elettori corrono a rimettersi nelle loro mani dimentichi che sono decenni che i governi europei più nazionalisti si tengono stretti i propri poteri, le proprie prerogative, ostacolando di fatto ogni ulteriore integrazione dell’UE. Si grida: il mio Paese, la nazione, il popolo anzitutto. Prima gli Italiani, prima i Francesi, prima i Tedeschi, prima i Polacchi, eccetera, 27 volte. Il risultato è che i governi europei sono costantemente in ritardo, costretti a inseguire le decisioni del mondo che ci attornia. Gli Stati nazione proprio non riescono a fare fronte comune, a unirsi maggiormente, a sposare la causa di più Europa. Il cielo cade loro sulla testa ma i governi nazionali europei continuano a far sì che vi sia meno Europa. Dopo di che si lamentano, si agitano, gesticolano, molte parole. Il teatrino delle ombre. Spiace dirlo ma ancora non abbiamo capito che su un numero crescente di dossier l’interesse nazionale e l’interesse dell’Unione Europea coincidono. Sicurezza, politica estera, politica della difesa, politica militare, politica dell’intelligence, politica commerciale, politica ambientale, politica migratoria, difesa dei confini, regolamentazione dell’asilo politico, integrazione degli immigrati, cambiamenti climatici – sono tutte questioni che nessun governo europeo può affrontare da solo. Spiace dirlo ma, Trump o non Trump, questa è l’epoca del ridimensionamento dell’Europa, del suo rimpicciolimento su scala planetaria, un processo che va avanti non da oggi.
Ipocrita è peraltro il lamento delle élite politiche e intellettuali europee. Quante volte l’America (di Obama, di Trump 1, di Biden e ora di Trump 2) ha chiesto agli europei di contribuire maggiormente alla Nato e a se stessi? Quante volte è suonata la sveglia? Nel 1989, 1991, 2000, 2004, 2008, 2014, 2022, in ultimo l’altro giorno a Monaco di Baviera. Ogni volta abbiamo aperto un occhio, spento la sveglia, ripreso a dormire. Non tutti dormono, sia chiaro. Non si contano i successi comunitari e i passi avanti delle istituzioni europee dalle guerre nell’ex Jugoslavia alle crisi finanziarie, dalle crisi migratorie all’epidemia di Covid 19 alla guerra di cui è vittima l’Ucraina. Ci sono miriadi gli europei svegli e attivi, talentuosi e fattivi, inventivi e creativi, appassionati e generosi che si danno da fare guidati da una visione supranazionale improntata al bene comune, all’interesse generale della grande comunità degli europei. E non si tratta solo della generazione Erasmus. Sono tanti i “nuovi europei”, purtroppo difficilmente fanno massa critica. Di fronte alla marea di problemi al mondo, l’atteggiamento dominante oscilla tra il torpore e la chiusura introversa, anche autoritaria. Altrettanto ipocrita è il fatto che chi si lamenta nella maggioranza dei casi è zeppo di retropensieri: “tanto Io me la cavo da solo”, “Io con Trump”, “Io e Putin”, “Io e la Cina”, Io, Io, Io. L’Io è illusione ma ancor più illusorio è credere che la salvezza stia nel rapporto bilaterale privilegiato (quando mai?) col più forte di turno. Vecchio vizio cortigiano che si metamorfizza da dieci mila anni a questa parte. Noi dell’UE comprende 27 Stati membri con una popolazione totale di circa 450 milioni di europei. Ma, vogliamo mettere, le bellezze dell’Io nello specchio della Storia?
Ha ragione il signor JD Vance, il nemico è interno, dentro all’UE, dentro la nostra testa di europei, ma non nel senso che intende il vicepresidente degli Stati Uniti. Siamo nemici di noi stessi perché continuiamo a dividerci perdendo di vista il quadro d’insieme, cioè l’essenziale: la Russia ci vuole divisi, gli USA ci vogliono divisi, il mondo arabo ci vuole divisi, la Cina ci vuole divisi. Tutti i protagonisti della terza decade del XXI secolo vogliono fare i comodi loro in Europa. Siamo oggetto. Sempre più oggetto. Un peschereccio in balia delle onde. Talvolta un bell’oggetto da Museo. Più che mai la nostra scelta nell’UE, rispetto all’UE, è chiara: puntare sull’Io nazionale o sul Noi europeo? Dal 1945 il Noi comunitario è cresciuto enormemente con concreti vantaggi per tutti. Negli ultimi tempi l’Io prevale sul Noi: l’Io nazionale cresce ovunque e il Noi comunitario tende a bloccarsi. Le sfide e le minacce esterne ci interessano solo se e quando alimentano e accentuano le lotte di cortile e del retrobottega. Il “vero nemico” non è forse quello interno degli infami untori? Ci aspetta un lungo, faticoso, travagliato XXI secolo.
“Non temete, al tavolo delle trattative l’Europa ci sarà” – fanno sapere alcune voci americane che si vorrebbero rassicuranti. L’osso al cane non si nega. Intanto, biscottino? Mettiamo anche che alla fine in sala, tra il pubblico, in fondo al tavolo, l’Europa (quale, chi, l’UE?) ci sia, sia presente. Per dire cosa? Per fare cosa? Per essere presente?
Ha ragione Donald Trump che accusa l’Europa di aver “fallito nel tentativo di portare la pace”. Oggi la maggioranza dei paesi europei appoggia l’Ucraina. Bruxelles appoggia Kyïv con crescente determinazione e fa piani non solo energetici a favore dell’Ucraina. Ma ieri? Ma inizialmente? Quante volte il presidente Macron ha telefonato all’invasore Putin per esaltare il ruolo della Francia? Quante volte il cancelliere Olaf Scholz, per timore delle ripercussioni economiche e politiche della guerra contro l’Ucraina, ha cercato di “mantenere i contatti” con Putin? Il one to one non è servito a nulla. Putin ha continuato per la sua sanguinosa strada. Oggi la questione centrale è: cosa ha da offrire l’Unione Europea agli USA? Cosa può e vuole offrire l’UE (con i suoi singoli Stati) all’Ucraina? Ecco il punto: noi europei, noi Stati e cittadini dell’Unione, dobbiamo portare qualcosa di concreto, di convincente, di attraente, di utile a Trump. A Zelens’kyj. A noi stessi: italiani, polacchi, francesi, spagnoli… 27 volte. Che le menti migliori di questa generazione si mettano subito al lavoro, il tempo stringe. L’urgenza aumenta. Fare adesso.
Alla Russia, cosa dobbiamo offrire? La nostra assoluta fermezza. Teniamo la barra dritta. Ribadiamo senza transigere sulle “regole liberamente concordate dell’ordine internazionale”, che l’ordine internazionale migliore si basa sui “principi cardine della convivenza pacifica, a cominciare dalla sovranità di ciascuna nazione nelle frontiere riconosciute”. Non dimentichiamo ciò che è già accaduto 80 anni fa: “Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali. Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto – anziché di cooperazione – pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura” (il presidente Sergio Mattarella).
Si, teniamo la barra dritta. Continuiamo a sostenere l’Ucraina. Diamole la possibilità di difendersi. Non perché amiamo la guerra, non sia mai, ma perché oggi, anno 2025, la difesa dell’UE comincia sul Dnepr. Non è letteratura. Oggi la difesa di ciascun paese dell’Unione dipende dalla vittoria o dalla sconfitta dell’Ucraina. La “vittoria ucraina” è la certezza che l’Ucraina non sarà più invasa, è il ritorno alle frontiere ante 2014. Ebbene, riaffermiamo che le frontiere dell’Ucraina sono quelle ante 2014. Continuiamo con le sanzioni alla Russia. Integriamo il più possibile gli attuali eserciti nazionali in una operatività collettiva della sicurezza continentale (usiamo gli stessi standard, rafforziamo lo scambio di informazioni e di intelligence, lavoriamo assieme sui temi della cybersecurity). Infine, rafforziamo le nostre economie cercando per quanto possibile di non consegnarci ad alcun padrone.
Putin continua per la propria strada senza guardare in faccia a nessuno, passando sui cadaveri russi e ucraini senza battere ciglio, moltiplicando attacchi massicci contro tutta l’Ucraina. Trump va spedito per la propria strada senza guardare in faccia a nessuno. Il minimo che noi europei possiamo fare è procedere in maniera spedita per la nostra di strada, riaffermando i nostri principi, punti fermi e interessi. Ma la schiena dritta non basta. Serve “fare” con un nuovo “senso di urgenza”. L’urgenza di intraprendere cambiamenti radicali nello spazio UE, di mettere in discussione molti status quo, di “adeguare il proprio strumentario”. Urgenza diventata “ancora più forte” negli ultimi anni/mesi. La vediamo crescere di settimana in settimana.
Siamo confrontati a tre guerre. Una si svolge ai nostri confini orientali. L’altra alle nostre porte mediorientali. La terza, della cui gravità non vogliamo prendere atto, è la guerra economica-finanziaria-tecnologica in corso in tutto il mondo, che ha tra l’altro l’UE tra i suoi bersagli). La complessità di queste tre guerre – che si sommano ad altre enormi e pressanti questioni che riguardano la ricerca, l’invecchiamento delle popolazioni, i cambiamenti climatici, i flussi migratori, la conquista dei mari come dello spazio – richiedono “un grado di coordinamento senza precedenti” tra governi nazionali, parlamenti nazionali, istituzioni europee (Commissione Europea, Parlamento Europeo). Per affrontare il presente con risposte adeguate “è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre più come se fossimo un unico Stato”; e “la risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte, con l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce” (Mario Draghi).
Nel frastuono mediatico alcune voci – del presidente Sergio Mattarella, di Mario Draghi, della presidente Ursula von der Leyen – hanno il pregio di giungere autorevoli, forti, concrete, chiare. Ma sarebbe il caso di valorizzare e fare interagire altre cento, mille, dieci mila voci, di destra, di centro, di sinistra, alternative, fuori dal coro, italiane e polacche, greche e finlandesi: tutte quelle voci interessate seriamente a destini dell’UE, che hanno una visione europea, che credono nell’importanza di dare un futuro all’UE, al nostro continente in cui abbiamo vissuto comodamente per 80 anni.
Che le menti migliori di questa generazione accolgano l’appello dei tempi. E non facciano la fine delle menti migliori di precedenti generazioni.
7 Commenti. Nuovo commento
Bella e molto dettagliata analisi. Molto dipenderà dalla nuova Leadership tedesca e dalla grosse koalition che si formerà a Berlino. Sara all altezza della sfida ? Speriamo di sì…
Lucida e dolorosa analisi. Grazie!
La mia voce è spezzata, ma non smette di mostrare il volto violento del potere, in Russia. Nel paese che è parte di me e della mia storia. Nel paese che da tre anni ho scelto di non frequentare. In aula e al di fuori provo a costruire uno sguardo libero, sperando che minuscoli granelli di parole possano dare frutti nelle nuove generazioni. Un abbraccio
Appassionata analisi…a parte la non sondabile mente del commerciante Trump le cui bugie diventano verità mentre vengono pronunciate, mi sembra che il cuore del problema stia nell’ Europa che non si riesce a fare. Domanda: quanto irreversibili sono le interconnessioni tra gli stati rispetto a cui non si può più tornare indietro? Chi non può più tornare sui suoi passi può solo andare avanti. Le sinistre hanno saputo solo fare progredire le destre. Anche queste possono solo diventare europeiste. Forse la meloni lo sa, e che tutti collaborino allo stesso obbiettivo: alla parziale decostruzione di Stati ormai incapaci di assolvere i compiti per cui sono nati (il Leviatano deve garantire la sicurezza pena la sua estinzione) e alla cessione di prerogative di sovranità a una confederazione europea. Come dice Draghi non c’è più tempo…
Giusta analisi, voglio credere che quanto stia succedendo dia la scossa necessaria all’ Europa. Oggi molti fanno paragoni con gli anni trenta. Jalta 2 o addirittura una mostruosa riedizione del patto Molotov-Von Ribbentrop con gli Usa al posto della Germania? Io ritengo che l’Europa, se saprà risvegliarsi, scoprirà di essere più forte di quanto credeva, mentre la Russia risulterà più debole del previsto
Bravo Paolo, grazie per quest’analisi, non manca niente, mancano solo le orecchie sonnolente degli europei, è ora della sveglia…
Pienamente d’accordo con la tua analisi, caro e bravissimo Paolo ! Spero che i Paesi membri dell’ UsE facciano finalmente qualcosa di serio in comune, dimenticando i loro ego storici!!!
Bravo!